La manutenzione autonoma, le persone e i risultati

Maggio 30, 2016 Lean

Articolo di Matteo Massulo

Quando si parla di Manutenzione Autonoma, o di TPM in generale, si associano immediatamente i concetti di “Capital Intensive”, “Macchinari”, “produttività”, ecc.

Sarete d’accordo con me che quasi mai (o comunque non immediatamente) si pensi ai concetti di “fattore umano” o di “crescita delle persone”.

In questo post vorrei mettere l’attenzione invece su questo slogan, che magari avrete già sentito ma che secondo me non viene quasi mai capito fino in fondo:

La Manutenzione Autonoma non migliora il risultato. La Manutenzione Autonoma migliora le persone, le persone migliorano i processi!

Difficilmente nelle mie esperienze di applicazione di TPM in azienda ho visto gli OEE degli impianti crescere vertiginosamente dopo l’applicazione del pilastro AM (Autonomous Maintenance) e questo fatto potrebbe far sì che i manager vedano questo pilastro come quello più “inutile”.

Tutt’altro! Il pilastro AM è il prerequisito senza il quale l’applicazione del programma TPM non potrebbe avere caratteristiche di sistematicità e sostenibilità, ma risulterebbe solamente un esercizio fine a se stesso con risultati immediati (o quasi), ma difficilmente mantenibile nel medio e lungo periodo.

E allora torno allo slogan sopra riportato: “La Manutenzione Autonoma migliora le persone…”

Sebbene questa frase abbia un impatto “etico” molto positivo, non bisogna correre il rischio di banalizzarla o di interpretarla in maniera retorica.

Questa frase dice una cosa ben precisa: per avere risultati sostenibili e duraturi bisogna tornare a lavorare non sul risultato finale ma sul processo che lo genera e quindi soprattutto sui “detentori” del processo stesso, che nel caso delle aziende Capital Intensive sono operatori di linea e manutentori.

Il pilastro AM, tramite la pulizia, l’ispezione, l’identificazione delle anomalie e la lubrificazione ha l’obiettivo di riportare lo stato di lavoro dell’impianto in quelle condizioni standard che col tempo e con l’estrema focalizzazione al risultato (e non al processo!), sono andate in buona parte perse.

Vi vorrei lasciare con una provocazione finale che spero possa suscitare qualche riflessione sull’importanza che si dà alle condizioni di lavoro e agli standard di lavoro:

Nelle vostre aziende (o in aziende conosciute) a chi viene detto “bravo”? a chi risolve grossi guasti improvvisi che magari causano ore di fermo macchina (?!) o a chi applica correttamente gli standard e fa sì che questi guasti non avvengano?

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